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CATECHESI di Padre LINO PEDRON



01 ♦ Proclamazione liturgica e "lettura sacra"

È necessario che tutti... conservino un contatto continuo con le Scritture, mediante la sacra lettura e lo studio accurato... onde apprendere "la sublime scienza di Cristo" (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo" (Dv 25). L’accoglienza di questa esortazione condiziona in gran parte il successo dell’opera di rinnovamento intrapresa dal Concilio.
La riforma liturgica, senza una parallela catechesi biblica, si risolverà in un insuccesso sul piano pastorale: avremo dei riti rinnovati, ma non una attiva, cosciente e piena partecipazione ad essi.
La parola di Dio deve diventare "buona notizia" accolta con gioia nel cuore perché "è vano predicatore della parola di Dio all’esterno, colui che non l’ascolta di dentro" (s. Agostino). La "lettura sacra" è la fonte a cui attingere il fervore e la piena fecondità spirituale.
Il cristiano deve ritrovare l’equilibrio tra preghiera liturgica e preghiera privata: tra di esse c’è una profonda unità. È su questa linea che vorremmo mettere in luce la continuità vitale che lega tra loro questi due momenti della vita cristiana: l’ascolto della Parola nelle celebrazioni ecclesiali e la lettura privata del testo sacro.
Primato dell’ascolto ecclesiale.
La proclamazione liturgica rimane il luogo e il mezzo privilegiato del contatto col testo sacro. Lì ci viene data nella sua pienezza la Parola "viva ed efficace" (Eb 4,12). La Parola è viva quando è presente l’interlocutore e risuona attualmente dalla sua bocca. Solo la presenza di Cristo impedisce alla parola di trasformarsi in un puro documento di storia. La Chiesa ha il privilegio di questa presenza, perché essa si identifica con Cristo; ne è la continuazione; "è il Cristo diffuso e comunicato" (Bossuet). Ora il mistero della Chiesa trova la sua attuazione massima nella celebrazione liturgica.
La Chiesa è il Corpo di Cristo e quindi è la pienezza della presenza del Risorto. "Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, in modo speciale nelle azioni liturgiche... È presente con la sua virtù nei sacramenti, in modo che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. È presente nella sua parola, giacché è Lui che parla quando nella chiesa si legge la sacra scrittura. È presente, infine, quando la chiesa prega e loda, lui che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome là sono io, in mezzo a loro (Mt 18, 20)" (Sc 7). "Dove viene annunziata la maestà del Signore ivi egli è presente" (Didachè IV, 1). Quando è Dio presente che parla, la sua parola conserva tutto il suo originario potenziale di salvezza. È parola creatrice: fa quello che dice.
La Parola è viva e attuale nella liturgia massimamente, ma non esclusivamente. Ogni altra forma di predicazione, di catechesi e di testimonianza implica una presenza di Cristo nella parola proclamata.
Altrettanto si deve dire per la lettura privata della Bibbia. Il testo deve essere letto con lo stesso Spirito con cui è stato scritto.
Chiunque vive nella chiesa prende il messaggio biblico dalle mani di colei che lo possiede nella sua integrità vivente, è interpellato da una Parola divina in cui Dio stesso è presente.
Ma questo carattere vivente della Parola nel seno della chiesa, dovunque la si accosti, non distrugge la priorità di quell’ascolto che si ha nella liturgia dove la presenza del Signore raggiunge il suo apice. Ogni lettura personale del testo sacro trova il suo punto focale nell’ascolto liturgico: come preparazione ad esso o come prolungamento.
La "lettura divina" preparazione all’ascolto liturgico.
Come preparazione anzitutto. Chi ascolta deve comprendere, deve afferrare con fede illuminata il messaggio che Dio gli trasmette, deve spalancare l’anima a Colui che gli si dona nella sua Parola. È possibile fare questo per chi non ha mai preso in mano la Bibbia, per chi arriva impreparato alle celebrazioni della Parola?
Lo stesso discorso vale per il Pane eucaristico. Ricevuto senza preparazione, il "Pane di vita" non vivifica più: Dio si arresta davanti alle porte chiuse.
Approfondimento e personalizzazione.
Il testo biblico, anche se accompagnato dall’omelia, non rivela tutte le sue ricchezze a un primo ascolto: tanto meno riesce a calarsi vitalmente nel vivo dell’esistenza di ciascuno. Un ascolto vitale esige un ripiegamento amoroso, calmo, meditato, personale sul testo. Non basta nutrirsi, bisogna ruminare e assimilare.
La "lettura divina" è il naturale complemento della proclamazione ecclesiale.
L’approfondimento deve diventare "personalizzazione". La liturgia è un incontro comunitario con Dio. A questo deve seguire l’incontro personale con Dio. Dall’armoniosa fusione dei due elementi nasce l’equilibrio cristiano. La parola di Dio non sfugge a questa legge. Dio non parla soltanto al popolo: interpella anche personalmente me. Quello che prima il Signore ha detto a tutti ora lo dice a me. La Parola risponde ai miei problemi, illumina i miei passi, prospetta il mio ideale.
L’ esperienza di san Gregorio Magno (+604).
Come papa, ha spezzato quotidianamente il pane della Parola al suo popolo nelle celebrazioni, come monaco ha fatto della "lettura divina" uno dei cardini della sua giornata, come santo ha saputo fondere le due cose in unità perfetta. Nel momento comunitario egli sente che mentre illumina la Parola alla comunità con la sua predicazione, in seno alla comunità gli si rivela ciò che nella meditazione solitaria rimaneva oscuro. "So infatti che il più delle volte ho compreso in presenza dei miei fratelli molte cose della parola sacra, che da solo non potrei afferrare... Accade così, per dono di Dio, che mentre si comprende di più ci si insuperbisce di meno: siete voi che mi fate imparare ciò che vi insegno. Lo riconosco: mi capita assai spesso di ascoltare con voi ciò che io stesso dico".
Nel momento personale gli sembra di fare l’esperienza opposta. La lettura segreta e solitaria lo introduce nei segreti del testo e gli permette di assaporare la parola di Dio. "Spesso poi, per grazia del Signore onnipotente, nella sua parola talune cose si comprendono meglio quando essa viene letta privatamente e l’animo consapevole delle proprie colpe ripensando a ciò che ha udito, si colpisce con il dardo del dolore, si trafigge con la spada della compunzione: unico suo conforto sono le lacrime e lavare le macchie (della coscienza) con un pianto dirotto. Mentre si trova in questo stato avviene che talora lo spirito si senta rapito alla contemplazione di realtà più sublimi e per il desiderio di esse si strugge in un pianto soave".
Si notano alcune reazioni dominanti dell’anima in ascolto: compunzione per le colpe, rapimento contemplativo, struggente nostalgia del cielo.
"Lettura divina": il termine e la sua portata espressiva.
L’espressione "lettura divina" o "lettura sacra" trova un largo uso negli scritti dei Padri del IV e del V secolo, in massime luminose e incisive, come le seguenti: "L’animo si nutra quotidianamente della divina lettura" (s. Girolamo). "Perché tu possa nutrire il timore di Dio con la divina lettura e il colloquio serio" (s. Agostino). "Attendiamo dunque alla divina lettura" (s. Ilario).
La loro dottrina riguardo alla "lettura divina" è guidata da una idea-forza ripetuta con insistenza martellante: se nella preghiera l’uomo parla a Dio, prima ancora nella lettura Dio parla all’uomo: "Gli parliamo quando preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini" (s. Ambrogio). "Preghi? Sei tu che parli allo Sposo. Leggi? È lui che ti parla" (s. Girolamo).
Guigo il Certosino definiva così la "lettura divina": "Scrutare accuratamente le Scritture con piena attenzione dell’animo". E un autore moderno: "La "lettura divina" è una lettura pregata" (Leclercq). Bouyer ne ha tentato una descrizione più dettagliata: "È una lettura personale della parola di Dio, durante la quale ci si sforza di assimilare la sostanza; una lettura nella fede, in spirito di preghiera, credendo alla presenza attuale di Dio che parla nel testo sacro, mentre il credente si sforza di essere egli stesso presente, in uno spirito di obbedienza, di completo abbandono alle promesse e alle esigenze divine". La "lettura divina" ci rende familiari le cose di Dio e travasa in noi i pensieri e la mentalità di Dio. Non è speculazione astratta e fredda, non è curiosità, non è studio fine a se stesso. È ricerca seria, approfondita e perseverante della Verità. È preghiera ed è tenerezza. Questa lettura è detta "divina" non solo perché è lettura del libro di Dio, ma anche perché lettura fatta a cuore a cuore con Dio, gustando le cose di Dio, realizzando un contatto personale con Dio. Si esperimenta così la verità enunciata dal salmo 34: "Gustate e vedete quanto è buono il Signore".
Accanto al lavoro intellettuale, che pure è necessario, bisogna porre quello affettivo: e al di sopra di essi la luce della fede che li trasfigura entrambi e permette all’anima di penetrare nell’universo divino.
Data la serietà e l’impegno che caratterizzano questa lettura, non ci sorprende più l’enorme fiducia nella sua efficacia spirituale che gli antichi le attribuivano. "L’esperienza della lettura sacra acuisce la sensibilità del lettore, aumenta la capacità di comprenderla, scuote dal torpore, allontana l’ozio, dà ordine all’esistenza, corregge le cattive abitudini, provoca un pianto che fa bene e trae dal cuore compunto le lacrime... frena le chiacchiere e le banalità, accende il desiderio di Cristo e della patria celeste. La lettura sacra deve sempre accompagnarsi all’orazione ed esserle intimamente unita, perché dall’orazione siamo purificati e dalla lettura istruiti. Così chi vuole essere sempre con Dio deve pregare di frequente e di frequente leggere: quando preghiamo infatti siamo noi che parliamo con Lui e quando leggiamo è Lui che parla con noi. Chiunque cerca la perfezione deve progredire nella lettura, nella preghiera e nella meditazione. Leggendo si impara ciò che non si conosce, meditando riteniamo ciò che abbiamo imparato, con la preghiera otteniamo di vivere ciò che abbiamo ritenuto. La lettura delle Sacre Scritture ci offre un duplice dono: rende più perspicace la comprensione dell’animo e conduce l’uomo, dopo averlo strappato alle vanità del mondo, all’amore di Dio..." (Smaragdo).

02 ♦ Le idee-forza che guidano la lettura.

È il pensiero che guida la vita; sono le concezioni di fondo che comandano le applicazioni pratiche. Si tratta di cogliere quelle grandi visuali di fede in cui gli antichi hanno colto il messaggio che Dio ha consegnato alle Scritture.
a) La maestà della Scrittura.
Cos’è per gli antichi la Bibbia? Per gli antichi è un libro vivo, un testo che respira. Essi colgono sotto le formule la presenza misteriosa di Qualcuno. La Scrittura è Dio presente che mi interpella. Ascoltando le sue parole "è come se vedessi la sua stessa bocca" (s. Gregorio Magno). Mi incontro di persona con il Cristo vivente quando, al di là della "lettera" colgo lo "spirito" delle Scritture: è Lui presente che fa l’esegesi della sua parola, che si rivela progressivamente al mio sguardo di fede. La comprensione della Bibbia è dunque una conversazione con Lui.
La Bibbia è una lettera che Dio scrive agli uomini per manifestare loro i suoi segreti, uno specchio che rivela all’uomo il suo volto interiore, un campo di grano che alimenta lo spirito, un tesoro inestimabile. È fonte di vita per chi giace nella morte del peccato, una fiaccola che illumina i passi di chi cammina nelle tenebre di questa vita, una consolazione per le anime mistiche, un riposo in Dio e una fonte di acque vive. "La sacra scrittura è la mensa di Cristo... alla quale ci nutriamo, comprendiamo ciò che dobbiamo amare e desiderare e a chi tenere fisso lo sguardo" (Alcuino). La "lettura divina" è un pregustamento del cibo di verità che ci verrà imbandito nella mensa del cielo.
Non si tratta di scienza speculativa, ma di scienza della salvezza: è una conoscenza ordinata alla vita, capace di trasformare tutto l’uomo interiore, di rifare le forze del nostro cuore. "Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona" (2 Tm 3, 16).
Qualunque linguaggio umano impallidisce davanti alla trascendenza della Parola, davanti alla "Maestà delle Scritture" (Ruperto).
b) Un bacio di eternità.
Rabano Mauro non esita a dire che la Scrittura "ci spalanca le porte del regno celeste". E Guglielmo di san Teodorico aggiunge che l’intelligenza della Scrittura è già quaggiù un "bacio di eternità". San Gregorio Magno dice: Attraverso lo sviluppo degli eventi e dei racconti (della Scrittura), siamo come incamminati passo passo verso l’eternità. Applicandosi al testo sacro si ha l’impressione di abbandonare questa terra di schiavitù per entrare nel dominio della libertà e bussare alle porte del Regno. La lettura è così considerata come una visione anticipata della gloria divina. "Comprendere in spirito i misteri della Scrittura e viverne è già regnare nel Regno di Dio" (Ruperto di Deutz). "Il regno dei cieli è la conoscenza delle Scritture" (san Girolamo). "Leggere le Scritture è conoscere già la sacra beatitudine" (Alcuino).
Meditando le Scritture lo sguardo di fede si applica a scoprire lo stesso Verbo e nella contemplazione lo raggiungiamo. "La mente è sollevata da uno spirito di eternità a contemplare i divini misteri come attraverso delle fessure" (Ambrogio Autperto). Lo spirito è sollevato talmente al di sopra di sé "da essere rapito sino alla casa del Padre" (Pietro Lombardo). È un itinerario affascinante che introduce già l’anima in una zona divina, ma che ha il suo punto di partenza nella lettura dei libri sacri. Ruperto dice che noi, che abbiamo tra le mani la Scrittura, avanziamo come esploratori fino alla Terra dei viventi, ma non vi fissiamo la nostra dimora. "Finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione" (2 Cor 5, 7). Il volto di Dio balugina allo sguardo della fede nella penombra, ma non si svela ancora nel suo pieno fulgore. Per questo bisogna continuare a cercarlo attraverso le pagine della Scrittura: "Quando l’amore cresce, cresce la ricerca di ciò che già si è trovato" (s, Agostino).
c) Libro vivente.
Parola viva, Libro vivente: esso è Cristo Gesù, oggetto di tutte le Scritture. Ma la tradizione considera come vivente lo stesso testo scritto della Bibbia. Questa profonda intuizione di fede sgorga dal concetto di "ispirazione". I Padri considerano il fatto dell’ispirazione non soltanto come qualcosa che ha agito un giorno sugli agiografi dando origine ai testi ispirati; ma anche come un influsso perenne e sempre attuale che agisce all’interno degli stessi Libri, i quali sono e rimangono ispirati. Quello Spirito che un giorno ha dettato la Scrittura, con la sua presenza ne assicura la giovinezza perenne, continua ad animarla con il suo soffio. Essa rimane piena dello Spirito di Dio ed è di continuo "fecondata miracolosamente da Lui" (s. Anselmo). Si può a giusto titolo raffrontare questo concetto con quello di creazione. La creazione non implica solo un atto iniziale di Dio che suscita dal nulla la creatura; implica pure una presenza continua di Dio con la sua azione, che la teologia chiama "conservazione" e che è in realtà una creazione continua. Le cose esistono perché Dio comunica loro l’essere in ogni istante. "Dio non ha fatto le creature e se n’è andato; ma fatte da Lui, sono in Lui" (s. Agostino). Ora la Parola è una creazione dello Spirito: non può abbandonarla dopo averla suscitata.
Parola vivente, la Scrittura implica così ad un tempo la presenza dello Spirito che l’ha suscitata e del Verbo di Dio che vi è espresso.
Certo, gli strumenti di cui lo Spirito si è servito, da Mosè a Giovanni, sono morti; il loro compito è terminato. Ma non è terminato quello del Verbo di Dio e del suo Spirito. È Lui, presente in ogni pagina che ci parla ancora dispiegando la sua forza, toccando il fondo delle nostre anime.
Lo Spirito è contemporaneamente presente nella Bibbia e in chi la legge. "Come lo Spirito di vita tocca l’animo del profeta, così tocca l’animo del lettore" (s. Gregorio Magno).
La Bibbia è Parola vivente perché animata dallo Spirito di vita. È perciò Parola vivificante perché, nello Spirito, ci fa attingere alla fonte stessa della vita divina. Tra l’agiografo, che ha fissato il testo sotto la mozione dello Spirito, e il lettore che accosta il testo sotto la mozione dello stesso Spirito, si stabilisce una profonda comunione che annulla le distanze di tempo, perché li mette entrambi in comunione con la Parola del Dio vivente. La Bibbia va letta e interpretata "con il medesimo Spirito con cui è stata scritta" (s. Girolamo).
Il Concilio Vaticano II nella DV 8 dice che per mezzo dello Spirito la voce del vangelo continua a risuonare viva nella Chiesa. Non è una Parola che appartiene al passato: "Dio che ha parlato in passato, non cessa di parlare".
La Parola non trasmette solo un messaggio, ma costituisce una Presenza, è Qualcuno. È la presenza di Dio con noi, è la persona stessa di Dio fatto carne. Non ci si accosta alla Bibbia come ad un libro qualunque: La Parola è una Persona che si rivela alla mia disponibilità ed esige che io mi impegni con essa. Non è solo un incontro con una "scrittura", sia pure divina: è un incontro con il Dio vivente.
d) Forza divina di salvezza.
Appunto perché continuamente vivificata dalla presenza dello Spirito, la Parola reca in sé un potenziale di salvezza "è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede" (Rm 1, 16). Non è solo verità: è forza. Non si accontenta di insegnare: opera in noi. Non ci addita solo dei modelli di azione: ci fa agire.
La parola di Dio nella Bibbia si presenta carica di forza creatrice. Le creature rispondono al suo appello collocandosi al loro posto nel cosmo (Gen 1). Ha una forza irresistibile perché è connessa con il soffio - spirito di Dio: "Io sono Colui che dice all’oceano: prosciugati; Io inaridisco i fiumi" (Is 44, 27). I vangeli ci presentano Gesù che comanda ai venti e alle acque, alla febbre e ai demoni, e il suo imperativo è potente, irresistibile.
Sulla bocca di Gesù questa potenza raggiunge il suo culmine. La sua Parola ha un potere che ridona la vita a Lazzaro (Gv 11, 44), che rinnova in un istante le carni disfatte di un lebbroso (Lc 5, 13), che ricostruisce un’esistenza e rinnova l’intimo di un uomo con la sua parola efficace di perdono: "Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi" (Lc 5, 20). Egli ha percorso le vie della Palestina e "fu profeta potente in opere e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo" (Lc 24, 19).
Cristo risorto continua a vivere nella sua Chiesa e con lui rimane la sua parola che è oggi la parola del Cristo glorificato. La sua parola non è debilitata, ma al contrario è incrementata perché "è stato costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione, mediante la risurrezione dai morti" (Rm 1, 4). Sotto l’influsso dello Spirito, la Parola può essere meglio compresa e penetra più profondamente, come spada tagliente, fino a quel punto misterioso del nostro essere dove lo spirito soprannaturale si congiunge con il nostro spirito vitale: "La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (Eb 4, 12).
Viva, efficace, tagliente, penetrante: l’incalzare di questi aggettivi conferisce al ritmo stesso della frase una forza impressionante, fedele riflesso dell’energia della parola che salva. Essa è il seme incorruttibile da cui rinascono i figli di Dio (1 Pt 1, 22-25).
"Sacre veramente queste lettere (la Scrittura) che non solo veramente santificano, ma anche divinizzano" (s. Clemente di Alessandria). "Se la frase è breve, grande è però la sua forza. E spesso basta prendere una parola di lì (dalla Scrittura) per avere un viatico per tutta la vita" (s. Giovanni Crisostomo).
Non è il suono materiale delle sillabe che immette in noi questa forza divina di salvezza: non è una formula magica come le parole delle fattucchiere. La Parola agisce come "Parola": va dunque capita e accettata. Suppone nell’uditore apertura e disponibilità. "Deposta ogni impurità e ogni resto di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime" (Gc 1, 21). Parlando, Dio comunica se stesso: tocca a noi accettarlo in piena libertà.

03 ♦ e) Mistero inesauribile.

"Stupenda profondità delle tue parole... Stupenda profondità, mio Dio, stupenda profondità" (s. Agostino. Confessioni XII. 14, 17). Miracolosamente fecondata dalla presenza dello Spirito, la Scrittura si presenta come un universo inconfondibile. L’uomo che vi si avventura non può mai dire di averne toccato il fondo.
La Scrittura ha un valore sacramentale. Dal momento che il Verbo (la Parola) è diventato carne (Gv 1, 14), Cristo è diventato il sacramento primordiale. In Lui si realizza con suprema pienezza la nozione di sacramento: un elemento sensibile che contiene una realtà divina. Egli è il "sacramento dell’incontro con Dio" (E. Schillebeeckx). Chi si incontrava con Gesù di Nazaret, si incontrava col Dio vivente. I sacramenti prolungano questa realtà: ci rendono presente il Cristo che salva. La Parola è un elemento sensibile che esprime e comunica Cristo. Bisogna dunque superare l’elemento esterno, l’involucro, la "lettera", per giungere al contenuto, al "mistero" della Scrittura: Cristo presente, parlante e operante.
La Scrittura è tutta intera un grande "sacramento" che contiene in una specie di involucro sensibile il mistero della salvezza che si incentra in Cristo. Sotto la guida dello Spirito ci si inoltra attraverso la "lettura" fino alle profondità del mistero ove ci si incontra con Lui.
"La sacra Scrittura è ispirata da Dio e per questo è di tanto superiore alle intelligenze più dotate di quanto queste sono inferiori a Dio: esse scoprono della sua spirituale profondità solo quello che la divina bontà si compiace di manifestare loro. Pertanto nessuno è così perfetto nella conoscenza della Scrittura da non poter progredire ulteriormente perché ogni progresso dell’uomo rimane sempre al di sotto dell’altezza della divinità che ispira" (s. Gregorio Magno).
Questa constatazione mette l’uomo in un atteggiamento di profonda umiltà di fronte alla Parola, ma non scoraggia la sua ricerca. Al contrario la stimola. Ad ogni lettura te la ritrovi davanti come un universo nuovo da scoprire. "In qualche modo la Scrittura cresce con chi la legge; i principianti imparano a conoscerla, gli esperti la trovano sempre nuova" (Smaragdo). "Le domande rivolte alla sacra Scrittura mentre la si legge, ricevono delle risposte proporzionate alla maturità del lettore" (s. Gregorio Magno). "Il nostro animo si rinnova con la vita secondo la sapienza, la meditazione della parola di Dio e la comprensione spirituale della sua legge. Se si progredisce ogni giorno con la lettura delle Scritture e si fa più acuta l’intelligenza (spirituale), ci si ritrova sempre nuovi, giorno dopo giorno" (Origene). "Quanto più ti elevi in alto, tanto più la divina Parola si innalza con te" (Rabano Mauro).
Non bisogna pensare che l’agente della crescita sia l’uomo col suo sforzo soggettivo di penetrazione. L’agente della crescita è lo Spirito di Cristo "per mezzo del quale la viva voce del vangelo risuona nella Chiesa, e per mezzo di questa nel mondo. È Lui che introduce i credenti a tutta intera la verità e fa abitare in essi abbondantemente la parola di Cristo" (DV 8). Solo lo Spirito può spalancare gli occhi dell’uomo interiore. "Non possiamo arrivare a comprendere la Scrittura senza l’aiuto dello Spirito che l’ha ispirata (s. Girolamo). "Colui che è l’Autore dei santi Testamenti ne è anche l’Esegeta" (s. Gregorio Magno). "L’animo si dilata a comprenderla solo per l’unzione interna dello Spirito che gliene rivela il Mistero" (Enrico di Marcy).
"La chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli" (DV 21). Ai discepoli di Emmaus Gesù "spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a Lui... Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò, e lo diede a loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero" (Lc 24, 27-31). Solo l’operazione sovrana della sua grazia può produrre questa intelligenza: non sono in gioco l’abilità dell’esegeta, l’acume del suo ingegno o la profondità della sua cultura, ma l’atto onnipotente di Cristo che "parla al nostro cuore e ci introduce in tutta la verità per mezzo del suo Spirito" (Ruperto). Solo Lui può spezzare l’involucro esterno della sua Parola. E quando il mistero si svela è Cristo che si rivela. Il passaggio all’intelligenza della Scrittura è un passaggio alla vita nel Cristo. Quando si apre la Scrittura, Egli ci ammette nella sua intimità. Ogni lettura in profondità del testo è un movimento che converge verso di Lui. Lui è il centro unico a cui convergono tutte le linee dell’universo biblico.
f) Questo unico libro è Cristo
L’ Antico Testamento è un pedagogo che conduce al Cristo (Gal 3,24), una storia che trova in Lui la sua peripezia decisiva, una Parola che si condensa in Lui diventando persona, una rivelazione che attinge in Lui la sua chiarezza definitiva.
La Bibbia infatti si presenta ad un tempo come una Rivelazione e come una Storia: la Storia di una rivelazione e la Rivelazione di una storia. I due elementi sono del resto strettamente connessi, perché la parola di Dio è creatrice. Essa suscita l’evento e ne illumina la portata in ordine alla salvezza. L’una e l’altra realtà confluiscono in Cristo e vi trovano la loro suprema attuazione. Egli è la realizzazione finale di ciò che Dio voleva fare e l’espressione finale di ciò che Dio voleva dire. Nel suo mistero si radunano tutte le linee portanti della storia sacra e si condensa tutto il messaggio della Rivelazione. "Gesù è Parola breve ma che dice tutto e tutto porta a perfezione sulla terra, ponendo termine alla legge e ai profeti con il duplice precetto dell’amore" (Elredo). Gesù "ha ricapitolato in sé il lungo svolgimento della storia umana, offrendoci, condensata in sé, la salvezza" (s. Ireneo). Tutto è finalizzato a Lui da un capo all’altro della storia umana: "Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui" (Col 1, 16). Egli è l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine. Se ci rappresentiamo la storia sacra come una linea, Cristo è nel suo inizio, nel suo termine e in tutti i punti intermedi. Senza di Lui le vicende della storia sarebbero come uno spartito musicale senza chiave di lettura. Tutta la storia è come una gravidanza che tende essenzialmente al parto del Verbo di Dio nella carne. E in forma sacramentale si prolunga nella storia della Chiesa tanto che s. Ambrogio poteva esclamare: "Ti sei mostrato a me, o Cristo, a faccia a faccia. Io ti incontro nei sacramenti". E intanto il cammino della storia prosegue verso il suo termine ultimo: il ritorno glorioso di Cristo alla fine dei tempi, quando sarà compiuto il mistero della salvezza e noi saremo introdotti con Lui nella gloria. È Lui infatti il fine al di là del quale non c’è più nulla da cercare. Intorno a Lui, che ne è l’oggetto unico, la Scrittura trova la sua profonda unità, secondo la celebre affermazione di Ugo da s. Vittore: "Tutta la divina scrittura costituisce un unico libro e quest’unico libro è Cristo, perché tutta la Scrittura parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento". E Ruperto di Deutz scrive: "Lui fa della totalità della Scrittura l’unica Parola di Dio... Quando dunque leggiamo la Scrittura tocchiamo la Parola di Dio, abbiamo dinanzi allo sguardo il Figlio di Dio come in uno specchio e confusamente".
Leggere la Bibbia senza scoprirvi Cristo, è come avere davanti agli occhi un velo impenetrabile; significa non vedere nulla (cf 2 Cor 3, 12-18). È la stupenda pedagogia di Dio che, per tappe successive, "conduce finalmente il suo popolo davanti a Qualcuno" (Hauret). E lo lascia là: perché dopo di Lui non c’è più nulla di sostanzialmente nuovo. Egli è la novità totale e perenne: "Quanto di nuovo esiste Egli ce lo donò donandoci se stesso" (s. Ireneo). È l’Amen che Dio appone a tutte le sue promesse (cf 2 Cor 2, 19), è la "ricapitolazione universale" (Ef 1, 10). In Lui le molte parole diventano l’unica Parola, breve, concisa, concentrata. "I tempi che ci precedettero meritarono di avere i profeti ispirati e ripieni della Parola di Dio; noi fummo degni di avere come Profeta la Parola di Dio in persona" (s. Agostino). Tutte le parole precedenti, disseminate nella Bibbia durante i secoli dell’attesa, si raccolgono in Lui, s’illuminano, rivelano la loro portata e il senso definitivo, e trovano in Lui il loro centro di unità. In esse infatti era sempre l’unico Verbo che si esprimeva e dirigeva segretamente ogni cosa in vista della sua manifestazione finale. Quest’unica Parola, che ormai risuonava sulla bocca di Cristo, è dunque "la Parola che conclude e abbrevia" (Origene). In essa si compendia tutta la Scrittura in un "compendio che reca salvezza" (s. Bernardo). E tuttavia, mentre il linguaggio umano quando è preoccupato di brevità finisce spesso col diventare oscuro, qui invece, abbreviandosi la Parola divina raggiunge la sua suprema chiarezza.
Ma la Parola brevissima aggiunge alla sua luminosa densità una sbalorditiva concretezza. Prima la Parola era solo udibile alle orecchie; ora è anche visibile agli occhi e palpabile alle mani (cf 1Gv 1, 1-3). Non è più scritta e muta, ma incarnata e vivente.
Cristo "compie" le Scritture, ricapitola la storia sacra e condensa in sé la Parola. Così ce ne offre la suprema rivelazione, ne manifesta il senso ultimo. Egli, oggetto unico dell’esegesi, ne è anche il soggetto: è il Libro che apre se stesso. Tutta la sua vita è un’esegesi in atto. E lo è soprattutto quel vertice della sua vita che è il mistero pasquale. La sua Croce è la chiave unica che apre tutti i misteri: "La croce del Signore fu la chiave che aprì ciò che era chiuso" (s. Agostino). È il grande libro aperto in cui ognuno può ormai leggere il disegno divino. Senza quel costato aperto, donde sono sgorgate le fonti del Nuovo Testamento, "noi subiremmo ancora tutti la sete della parola di Dio" (Origene). "Le Scritture non si comprenderebbero se non avessero in Lui il loro compimento" (Ruperto). Cadono dal libro i sigilli: "Nella passione venne aperto quel libro: l’eterna potenza e la divinità nascoste nell’uomo cominciarono a manifestarsi" (Cesario d’Arles). Appare nella sua luce definitiva "tutto il mistero della redenzione dell’uomo che si trova nascosto nei libri del Vecchio Testamento: svelato nella Croce e pienamente compiuto" (Elinando). Appare nell’atto stesso in cui si compie (Ef 3, 8-11): un atto in cui Dio manifesta al massimo grado il suo mistero che è amore.
Cristo ci offre "tutta la Bibbia sostanzialmente, perché ne facciamo un solo boccone" (P. Claudel). Aveva proprio ragione Ugo da san Vittore di dire: "Quest’unico libro è Cristo". Il Libro è Lui. Ha ragione anche padre De Lubac quando scrive: "Il cristianesimo non è la religione biblica: è la religione di Gesù Cristo".
Tutto questo è gravido di conseguenze per la lettura della Bibbia. Non si tratta di leggere un libro, ma di cercare Qualcuno: "La Chiesa con tutto il suo ardore cerca nelle Scritture Colui che ama"(Onorio). L’esegesi non è una tecnica, ma una mistica. Il senso della Scrittura non è una verità impersonale: è la figura fascinosa di Cristo. Tutta la scienza esegetica è la capacità di riconoscere Cristo.
"La sacra Scrittura è il petto di Gesù" (Goffredo d’Admont): come Giovanni nell’ultima cena ha posato il capo sul cuore di Cristo, così gode dello stesso privilegio chi trova il senso di Cristo nelle Scritture. "L’anima assetata prolunga volentieri il contatto con le Scritture, perché è certa di trovarvi Colui di cui ha sete" (s. Bernardo).
Certo, l’esperienza di Cristo nella Bibbia non è continua. L’anima conosce alternanze di luce e di ombra, di gioia e di angoscia: "Il Verbo ora va e ora viene" (s. Bernardo). Quando egli si assenta, si attende con paziente desiderio che ritorni. È un’alternanza che accompagna del resto ogni autentica esperienza religiosa.

04 ♦ Le disposizioni concrete che animano la lettura.

Se la Bibbia è tutto quanto abbiamo detto fin qui, con quali disposizioni spirituali va accostata? Dev’essere una "lettura pregata": assidua, sapienziale, dialogica, impegnata.
Prima di dedicare a ognuno di questi aggettivi un paragrafo a parte, è bene fare un cenno alle disposizioni ascetiche che preparano remotamente alla lettura.
a) Attitudini ascetiche che dispongono alla lettura.
1) Purezza di cuore.
È un termine sintetico: indica l’assenza di ogni affetto delle creature che distolga dall’amore di Dio e dal senso della sua presenza. Sono le disposizioni morali che rendono il soggetto un terreno accogliente e recettivo alla Parola, sulla linea della parabola evangelica del seminatore (Lc 8, 4-15). È libertà totale in vista di una dedizione totale all’amore di Dio. "La verità non si manifesta all’impuro, la Sapienza non si dona a lui" (s. Bernardo). "I misteri profondi e nascosti non li possederà mai la scienza e l’erudizione profana, ma solo la purezza di un’anima illuminata dallo Spirito Santo" (Cassiano). Ma il dono dello Spirito va accolto attivamente, con la purezza d’animo conquistata nell’ascesi. La Parola è forza divina che salva nella misura in cui è accolta con la purezza di cuore. "Chi salmeggia comprende quel che si canta se cammina nella via senza macchia con i passi di un cuore puro" (Cassiano).
2) Fede e umiltà
L’intelligenza, illuminata dalla fede e investita dai doni dello Spirito Santo, soprattutto da quelli dell’intelletto e della sapienza, giunge a una conoscenza vitale. Vitale perché è uno sguardo capace di riconoscere nelle Scritture il Cristo. E chi conosce Lui entra nella vita.
Occorrerà soprattutto pregare. "La cosa più importante è pregare per comprendere" (s. Agostino). È essenzialmente un’attività contemplativa: "Cercare sé in Dio e Dio in sé" (Pietro della Cella).
C’è poi l’esigenza di una "pia umiltà" (Alcuino) o dell’umiltà del cuore. È troppo grande la parola di Dio e noi siamo troppo piccoli perché si possa accostare con una qualunque pretesa o orgoglio intellettuale. È eloquente a questo proposito l’esperienza di sant’Agostino: "Stabilii di applicarmi allo studio della Scrittura per vedere che cosa fosse. Ed ecco che vi trovo una dottrina non comprensibile per i superbi, né chiara per i fanciulli, ma all’inizio umile, poi sublime e velata di misteri. Io non ero in grado di penetrare in essi, o di piegare la fronte dietro i suoi passi. Quando infatti mi applicai alla Scrittura, non la pensavo come ora; perciò mi parve indegna di essere paragonata con la dignità tulliana. Il mio orgoglio rifuggiva da quella maniera di esprimersi e il mio acume non penetrava nel suo intimo. Essa era tale da crescere assieme ai piccoli, ma io, gonfio di superbia, mi volevo credere grande, sdegnando di essere ancora bambino" (Confessioni. III 5, 9).
Lo stesso Agostino, altrove, condensa la medesima esperienza in una sola espressione: "Da superbo osavo cercare ciò che solo l’umile può trovare" (Serm. 53).
Come davanti a Gesù di Nazaret, che si rende solidale con la nostra condizione umana, non dimentichiamo la grandezza del Dio vivente di cui egli è sacramento, così di fronte alla povertà del linguaggio umano in cui egli ha umiliato la sua Sapienza, non dimentichiamo la trascendenza e la santità della Parola divina che vi si è incarnata perché la potessimo comprendere. "Nella sacra Scrittura dunque, restando sempre intatta la verità e la santità di Dio, si manifesta l’ammirabile condiscendenza dell’eterna Sapienza affinché apprendiamo l’ineffabile benignità di Dio e quanto egli, sollecito e provvido nei riguardi della nostra natura, abbia contemperato il suo parlare. Le parole di Dio infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze della natura umana, si fece simile agli uomini" (DV 13). Ammirando la condiscendenza di Dio che si abbassa appunto perché è l’Altissimo, assieme alla riconoscenza sentiamo crescere nel cuore l’umiltà.
3) Pacato sforzo di raccoglimento.
Per mettersi in religioso ascolto occorre un clima di silenzio e di calma interiore. Occorre essere presenti con tutto se stessi davanti a Colui che ci parla. L’attenzione totale si traduce in una adesione piena e in un abbandono totale non a un testo, ma a una Persona. Si capitola senza condizioni davanti a Dio che parla.
b) Lettura assidua.
"Ecco verranno giorni - dice il Signore - in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma d’ascoltare la parola del Signore" (Am 8, 11). L’uomo spirituale è un affamato e un assetato: e solo la parola di Dio può saziare questa brama. La fame della Parola è un’esigenza dell’amore; l’arsura che accende questa sete è l’ardore della carità. La mancanza di lettura è digiuno insopportabile che debilita la vita dello spirito. L’uomo reca in sé un bisogno incoercibile di conoscere. Tutto ciò che si riferisce alla persona amata riveste un interesse vivo e diventa oggetto di appassionata ricerca. "O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la vita ad ascoltarti... per imparare tutto da te... fissarti sempre e starmene sotto il tuo grande splendore" (suor Elisabetta della Trinità). Il Concilio ci esorta: "Conservino un contatto assiduo con le Scritture, mediante la sacra lettura assidua e lo studio accurato" (DV 25).
Il dottore della "lettura", san Girolamo, condensa la sua esperienza nella celebre esortazione: "Ti sorprenda il sonno mentre tieni in mano il volume, la pagina santa accolga il tuo viso cadente". Si prende il sonno con il rimpianto di non poter leggere ancora.
Se il cuore è inondato di amarezza, basterà una pagina sacra per dissiparla.
E tutto ciò non è appannaggio esclusivo delle vergini consacrate o dei monaci: è un ideale per tutti. È a un laico, al medico dell’imperatore, che san Gregorio Magno rivolge, con una lettera giustamente famosa, questo invito: "Cerca dunque di meditare ogni giorno le parole del tuo Creatore. Impara a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio, perché tu possa desiderare più ardentemente i beni eterni e con maggior desiderio la tua anima si accenda dei beni del cielo" (Epist. IV. 31, 54).
L’assiduità della lettura conduce alla familiarità con Dio. Non ci si può avventurare nella Bibbia da turisti: bisogna diventare abitanti, viverci dentro. È una comunione permanente con la Parola, così come è continuo il respiro. "Se ad essa ci uniamo con assidua frequentazione, penetriamo il suo pensiero come in un familiare colloquio"(s. Gregorio Magno). Come dal freddo silice scocca una scintilla infuocata, così dall’anima si accende un fuoco ardente capace di propagarsi intorno. Questo è l’esito: ma prima bisogna battere, con paziente e amorosa insistenza, alla porta di quelle benedette parole perché non sempre la scintilla scocca al primo attrito.
c) Lettura sapienziale.
Il contenuto globale del Libro sacro è il mistero della salvezza. La Parola è uno strumento a servizio di questo mistero: "potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede" (Rm 1, 16). Non è solo una fonte di conoscenza e di informazione: Dio non ha parlato solo per dare un alimento al nostro pensiero e per divertire la nostra fantasia. In tal caso si leggerebbe solo per imparare. Se invece diciamo che la Bibbia è "Parola vivente" e "potenza per la salvezza", allora leggo "per vivere" e per "essere salvato". E se è vero che è anche conoscenza, perché apre uno spiraglio nel mistero di Dio, è però una "conoscenza della salvezza" (Lc 1, 77). "Il termine conoscenza, nel linguaggio scritturistico, esprime un contatto dell’anima che si attua in una esperienza ineffabile, in uno scambio d’amore, in un torrente di felicità con cui Dio inonda l’anima amante" (Ruperto). Attraverso la "lettura divina" conosco Dio: ma è conoscenza che si traduce in consenso, in abbandono, in un impegno che afferra tutta la vita. L’aspetto conoscitivo si salda con quello volitivo e con quello esistenziale. È tutto l’uomo che è impegnato in questa conoscenza. È vana una scienza che non sfocia nell’amore e una verità che non diventa principio di vita. Ciò che conta non è baloccarsi col testo sacro per fabbricare costruzioni intellettuali ed erudite, ma accostarvisi con profonda riverenza e ardente devozione, per edificare in sé il Regno di Dio e nutrire la preghiera. Se quel testo non si ripercuote nella vita, rimane lettera morta.
Lo studio è il frutto di una tecnica umana di ricerca che sfocia in una "scienza"; la "lettura" è un dono della grazia, accolto in un clima di preghiera, che sfocia in una "esperienza". Le due cose non si oppongono: esigono al contrario di integrarsi. Ma la prima è finalizzata alla seconda.
L’intelligenza delle Scritture è un dono dello Spirito Santo, un dono che Dio accorda di preferenza ai puri e ai semplici di cuore: "La semplicità penetra Dio e lo capisce" (Imitazione di Cristo).
La sapienza delle Scritture è il gusto sperimentale, l’assaporare la divina Parola, il godimento della bontà di Dio: "Gustate e vedete quanto è buono il Signore" (Sal 34, 9).
È lo Spirito di intelligenza e di sapienza che crea in noi questo"gusto", questa esperienza. "Ci sono delle cose in cui l’intelligenza non capisce nulla se manca di una collaterale esperienza" (s. Bernardo).
E la Parola di Dio è certamente una di queste.
d) Lettura dialogica.
La "lettura divina" è una lettura fatta a due. Quando leggo è Lui che mi parla, quando prego sono io che gli rispondo. Dio non si accontenta di lasciarsi cercare dall’uomo: è Lui che ha il primato di ogni iniziativa. Non è stato Israele a scegliere Dio, ma Dio a scegliere Israele (Dt 4, 34), non siamo stati noi a scegliere Cristo, ma è lui che ha scelto noi (Gv 15, 16): "Egli ci ha amati per primo" (1 Gv 4, 19). Il poeta persiano Eddin Attar esprime così la sua esperienza religiosa: "Per trent’anni camminai alla ricerca di Dio. Quando alla fine di quegli anni aprii gli occhi, mi accorsi che era Lui che mi cercava". Lo stesso va detto di quella realtà primordiale che è la Parola. Dio non è solo Qualcuno che mi ascolta: prima ancora è Qualcuno che mi parla. La Parola è l’atto con cui Egli prende l’iniziativa di cercarmi, entra nella mia vita, la afferra e la plasma con la potenza del suo amore.
Da ciò deriva l’attitudine fondamentale dell’ebreo e del cristiano: ascoltare. La Bibbia ci presenta un popolo in ascolto: "Ascolta, Israele" (Dt 6, 4). Il messaggio evangelico esige soprattutto degli ascoltatori (Lc 8, 11-15). Da questo fatto primordiale, che cioè Dio ci parla, deriva il carattere personale del rapporto religioso. Infatti, soltanto nella parola, nel dialogo, qualcuno diventa per noi persona. Il rapporto è stabilito dalla parola. Dio è per me Qualcuno, in tutta la forza del termine, perché mi rivolge la sua Parola e io gli posso rispondere. Troppo spesso Dio è considerato oggetto della fede: ho dinanzi un blocco di verità aride da imparare a memoria e sono incapace di entrare in comunione con il Dio vivente. Dio è Qualcuno che muove incontro a me e mi interpella per iniziativa sovrana e gratuita del suo amore. "Con la rivelazione Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé" (DV 2). "Nei libri sacri infatti il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli e discorre con essi" (DV 21). Il privilegio di Mosè a cui "il Signore parlava a faccia a faccia come un uomo parla con un altro" (Es 33, 11), ereditato dagli apostoli (Gv 15, 14-15), viene così trasmesso a tutti i figli di Dio.
"La lettura... va accompagnata dalla preghiera affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo, perché quando preghiamo parliamo con Lui; Lui ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini" (DV 25). Lettura e preghiera sono così i due momenti correlativi di un unico atto, le due componenti del dialogo. Da sempre si afferma che la preghiera è un dialogo, ma spesso, nella pratica, diventa un monologo: ci preghiamo addosso. Se poi i dialoganti sono molto diversi per condizione e dignità, spetta al più degno introdurre e allacciare la conversazione. L’iniziativa non può essere che di Dio. Ciò che maggiormente conta è quanto dice Lui. Pregare è dunque, anzitutto, ascoltare: ascoltare Lui che parla nella Scrittura. Per questo è inconcepibile una preghiera cristiana che non abbia nella Bibbia il punto di partenza. Ed è altrettanto inconcepibile una lettura della Bibbia che non sfoci in ultima istanza nella preghiera.
Ciò presuppone due condizioni: cogliere la presenza di Dio nella sua Parola; e che la Parola sia accolta come un messaggio personale, che interpella direttamente ciascuno. La Parola va colta dalla bocca di chi la pronuncia, diceva Gregorio Magno. In caso contrario leggiamo il testo, ma non ascoltiamo Lui.
Nella vita di s.Ilarione, Girolamo scrive: "Dopo le orazioni e il canto dei salmi, recitava le Scritture, che conosceva a memoria, come se avesse visto Dio innanzi".
Quando prendiamo tra le mani il Libro sacro, l’interlocutore è presente innanzi a noi come un "Tu" divino, pronuncia per noi in quel momento quelle parole, per intessere un dialogo d’amore, per afferrare la nostra vita e inserirla nella sua.
Il vangelo ci presenta il modello più suggestivo di questo ascolto (Lc 10, 39): Maria seduta ai piedi del Signore. Beve avidamente la Parola dalle sue labbra. È concentrata in quell’ascolto con tanta intensità e gioia da dimenticare tutto il resto. Per lei in quel momento non c’è più nulla al mondo di cui valga la pena di occuparsi. E il Signore le dà ragione: è l’unica cosa veramente "necessaria".

e) Lettura impegnata.

Lettura assidua alimentata da una fame che si innesta sull’amore, conoscenza sapida gustata in un’esperienza interiore, dialogo col Dio vivente che prorompe in preghiera: così è apparsa la lettura nei paragrafi precedenti. Ma ne manca ancora uno, forse il più decisivo. La preghiera non esaurisce la risposta dell’uomo al Dio che gli parla. Non bastano le parole e neppure gli affetti. Ci vuole la concretezza degli atti. Si risponde con tutta la vita.
Dio parla: l’uomo ascolta e gli risponde. È la preghiera.
Dio si rivela: l’uomo accoglie la sua luce e impegna tutta la vita nella scoperta progressiva del suo volto. È la fede.
Dio insegna: l’uomo modella su quella Verità tutto il suo universo mentale. È "fare la verità" (Gv 3, 21).
Dio, parlando, liberamente si dona: l’uomo accogliendo il dono entra in comunione con Lui. È l’amore.
Dio pone delle norme: l’uomo modella su quello stampo tutta la sua esistenza. E quindi è in gioco tutta la vita.
È proprio questa la meta ultima dell’ascolto: l’"udire" diventa "ubbidire": è la sottomissione totale alla Parola. L’accettazione della Parola si traduce in impegno che afferra la vita.
Cristo entra nel mondo col proposito dichiarato di fare "ciò che è scritto nel rotolo del Libro a suo riguardo": "Ecco, io vengo - perché di me sta scritto nel rotolo del Libro - per fare, o Dio, la tua volontà" (Eb 10, 7). Là si trova il programma che il Padre ha tracciato per Lui. Farà tutto e solo quello, dando a quelle parole tutto il loro contenuto: con la vita. Vive e agisce "perché si adempiano le Scritture". L’ultima parola: "Ho sete" uscirà dalle sue labbra "per adempiere la Scrittura" (Gv 19, 28).
"Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture" (1 Cor 15, 3-4). Tutto il progetto della sua vita, morte e risurrezione è scritto in quel Libro divino: "tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture" (Mt 26, 56). La vicenda di Cristo diventa norma per il cristiano. È dalla Scrittura che attinge il progetto della sua vita. Anch’egli, come il Maestro, vive secondo le Scritture, per adempiere le Scritture, per fare la volontà del Padre (Mt 6, 10). La Bibbia segna il tracciato storico di ogni anima, di ogni uomo. Il santo, come Cristo, è una Bibbia vivente, è una Parola diventata carne, è la risposta alla domanda di fondo: "Come si vive la Bibbia?".
Un giorno Francesco d’Assisi entra in una chiesa con messer Bernardo. Aprono il vangelo e vi leggono successivamente tre inviti convergenti del Signore. "Vendi quello che hai... Non portare nessuna cosa per via... Rinnega te stesso e prendi la tua croce". Francesco conclude la lettura con queste parole: "Ecco il consiglio che Cristo ci dà: va’ dunque e fa’ compiutamente quello che tu hai udito" (Dai Fioretti, cap. II). E lo fanno senza commento, perché è inutile conoscere i sacri versetti, se poi non si passa all’azione. Francesco si autoproclamava "idiota", privo di ogni preparazione scientifica, eppure hanno scritto di lui: "Là dove la scienza professorale non riusciva ad entrare, penetrava invece la sensibilità dell’innamorato" (s. Bonaventura. Legenda maior, XI, 1).
Bisogna ripetere che in questo impegno di penetrazione hanno un ruolo preponderante le facoltà soprannaturali. Nel cristiano non c’è solo un’anima e un corpo: c’è lo Spirito di Cristo. "È necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre, e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia a tutti la dolcezza nel consentire e nel credere alla verità. Affinché poi l’intelligenza della rivelazione diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni" (DV 5).
Ognuno di noi è una realtà unica, assolutamente originale ed irripetibile: "Il pensiero creatore di Dio non si ripete mai" (Leclerq).
Il Maestro divino dunque rivolge a ciascuno di noi un messaggio personale ed unico ma ce lo trasmette attraverso il messaggio universale della Bibbia. "La rivelazione pubblica, oggettiva, di Dio nella storia è anche la rivelazione delle sue vie verso ciascuno di noi" (Dodd).
Il mistero di Cristo si prolunga a due livelli: nella Chiesa intera, che è il Cristo continuato nel tempo, e in ogni singola anima "piccolo microcosmo della Chiesa perfetta" (Origene), ove palpita tutta la vita del grande Corpo di Cristo diffuso nel mondo. "Tutto ciò che accade alla Chiesa, accade anche a ciascun cristiano in particolare" (Pascal). La cellula vive della vita del corpo; ogni esistenza cristiana attinge alla fecondità del Corpo che è la Chiesa. Quello che è avvenuto nel Cristo, avviene nella Chiesa e si compie in ciascuno. A che servirebbe tutto ciò che Dio ha fatto se non afferrasse la vita di ciascuno? È noto il grido di Agostino: "Attenti, fratelli... di voi, proprio di voi si parla". E Gregorio Magno: "Dobbiamo leggere come se si trattasse di noi... ciò che viene narrato come accaduto esternamente, vediamo come si realizza dentro di noi... Tutta la Scrittura è stata scritta per noi".
Cristo, la Chiesa, ciascuno: questa è la trafila per cui deve passare la Parola. C’è una affinità tra l’universo oggettivo della Rivelazione divina e del Mistero cristiano e quello soggettivo del mio mondo interiore, perché l’anima è fatta ad immagine di Dio.
Non sono due realtà eterogenee: sono fatte per integrarsi l’una nell’altra. La Bibbia mi aiuta a conoscere me stesso.
La parola è uno specchio che riflette la nostra immagine. È lo strumento per una spietata analisi della nostra vita. Ci dà la chiave per decifrare la nostra esperienza. Questa chiave è il volto di Cristo che ogni pagina della Bibbia ci riflette. Egli è "l’immagine del Dio invisibile" (Col 1, 15), ma è nello stesso tempo la nostra immagine perché Dio "ci ha predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo" (Rm 8, 29). Quando leggo la Scrittura vi vedo riflesso il volto di Cristo e il mio, con le somiglianze e dissomiglianze che la sovrapposizione mette in evidenza. Vedo ciò che dovrei essere e quello che sono. La diagnosi si fa sicura e tagliente: "Lì veniamo a conoscere il nostro bene e il nostro male" (s. Gregorio Magno). Nasce da qui il desiderio imperioso di diventare ciò che dovremmo essere, l’impulso all’imitazione del divino modello.
Ma la Parola non è solo uno specchio: è anche una spada.
"La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio: essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (Eb 4, 12). L’immagine è di rara efficacia. La Parola deve ferire: deve aprire una piaga, mettere in crisi situazioni false, provocare un risanamento, suscitare la conversione.
Una lettura in cui la Parola sfiora l’epidermide dell’anima e ci lascia freschi, belli e indifferenti, si risolve in un formalismo: deve giungere alle radici profonde dell’essere, alle "midolla".
Una Parola intimamente sofferta, che va a trafiggere il cuore degli altri dopo aver trapassato il mio: "Parlerò, si parlerò... perché la spada della Parola di Dio anche per mezzo mio giunga a trapassare il cuore del prossimo. Parlerò, ma la Parola di Dio la sentirò rivolta anche contro di me" (s. Gregorio Magno). La Parola è tanto più capace di afferrare l’esistenza altrui, quanto più profondamente ha afferrato la mia.
Gli atti in cui si articola la "lettura divina".
"Mentre leggo prego, e mentre prego contemplo" (Ugo di Mortagne). La lettura fruttifica solo nella preghiera contemplativa. E questa ha bisogno di radicarsi nella lettura per non perdersi in fantasie inconsistenti o in un vano sentimentalismo. Come si articolano i quattro momenti di cui diremo subito di seguito e come si situano l’uno in rapporto all’altro? "È come se la lettura offrisse alla bocca un cibo ancora solido, la meditazione lo masticasse e lo spezzasse, la preghiera lo gustasse: la contemplazione poi si identifica con una dolcezza che infonde gioia e ristoro" (Guigo II abate + 1188). L’immagine della manducazione esprime bene qual è l’obiettivo che comanda tutto l’insieme: accogliere in sé la Parola per assimilarla vitalmente.
a) La lettura.
Il punto di partenza è la lettura. Con essa mi metto in ascolto: è Dio che mi parla. È il momento in cui ho la gioia di ascoltare la voce autentica di Dio. Occorre una lettura attenta, calma, contemplativa. L’uomo moderno quando legge il più delle volte è affrettato e quindi superficiale. La curiosità che genera la fretta è uno dei maggiori ostacoli alla lettura della Scrittura. Leggere con calma: è una condizione essenziale perché la lettura sfoci nella preghiera. La preghiera è una di quelle cose che non si possono fare in fretta. Gli antichi trascrivevano i codici a mano. I moderni trovano il libro già stampato. Loro si tuffavano nel testo, noi facciamo sci acquatico.
b) Meditazione.
È un paziente lavoro di analisi e di approfondimento. È una eco intima della Parola, che continua a risuonare in fondo all’anima con dolce insistenza. La meditazione è paragonata alla assimilazione del cibo. Il cuore è la bocca in cui il testo viene masticato e ruminato. Si soppesa ogni parola per capirla, imprimerla nella memoria e gustarne la dolcezza, e trovarvi la gioia e il nutrimento dello spirito. San Francesco si comportava così: "La memoria era il suo libro, perché l’amore ruminava con continuo impegno ciò che non invano aveva udito una sola volta" (Tommaso da Celano. Vita II, n° 102). Questo metodo di lettura era stimato da Francesco più utile che percorrere migliaia di trattati. S. Bonaventura ne dà la motivazione: "Le parole della Scrittura vanno sempre ruminate per poterle gustare con ardente applicazione dell’animo". Questa è la condizione perché l’alimento della Parola sia assimilato e diventi cibo dell’anima.
S.Girolamo descrive un tratto essenziale della sua esperienza quando costata che "tutto ciò che aveva raccolto in sé con un lungo studio, era diventato per lui una seconda natura, grazie a questa meditazione quotidiana delle Scritture" (Epist, 127, 7). La parola così assimilata, diventa una componente di noi stessi, modellando pensieri, sentimenti e vita. E identificarsi con la Parola vuol dire identificarsi con Cristo.
La lingua batte dove il dente duole. Alle labbra vengono spontaneamente i motivi delle canzonette in voga, le parolacce e le bestemmie udite nei vari ambienti di vita. Perché i salmi, che il popolo cristiano torna a cantare nelle assemblee, le belle preghiere e le parole sante, non potrebbero fiorire durante il lavoro sulle labbra di qualche contadino, artigiano, operaio, professionista? I testi ritornano spontaneamente sulle labbra di chi li porta nel cuore e si premura di fissarli ogni giorno più nell’intimo. Riaffacciandosi alla mente durante il giorno si traducono in preghiera. Spesso un’improvvisa illuminazione proietta su quelle parole una luce nuova e se ne percepisce il senso con una chiarezza mai prima intravista. Non è la monotona ripetizione di testi ormai triti e ritriti: è la gioiosa scoperta di una Parola sempre fresca e nuova.
c) Preghiera.
La lettura meditata sfocia spontaneamente nella preghiera: anzi, è preghiera essa stessa. La preghiera è la Parola restituita a Dio. Per restituirla, devo prima accettarla e consentirvi. La accolgo da Lui come una grazia, la faccio mia, la gusto, la amo e pronuncio il mio amen, la mia adesione, il mio sì. Poi la restituisco a Lui in azione di grazie. Il cristiano che prega non fa altro che rispondere a Dio. Per pregare non c’è bisogno di distillarsi il cervello per provocare artificialmente pensieri e affetti sopraffini, ma piuttosto reagire davanti alla Scrittura con una preghiera libera e spontanea. E quando questa effusione spontanea si arresta, si ritorna al testo per fornirle nuovo alimento. Allora non gireremo più a vuoto. La Bibbia è il miglior libro di preghiera: "Nella Scrittura sono racchiusi mirabili tesori di preghiera" (DV 15).
d) Contemplazione.
C’è una contemplazione che è alla portata di tutti e che è il coronamento naturale di un cristianesimo vissuto seriamente. Contemplare è entrare in un rapporto di fede con Dio che in Cristo ci ha rivelato il suo volto (Gv 14, 9). Ogni pagina della Bibbia ci svela il volto di Dio. Essa è il libro dell’ammirazione e della contemplazione perché spalanca davanti ai nostri occhi increduli le grandi meraviglie di Dio. Contemplare è un atto semplice e spontaneo, ma ricco di connotazioni religiose: stupore, ammirazione, riconoscenza, adesione, canto, lode... "Si prova gusto a parlare con Te, ad ascoltarti... a ragionare con altri di Te" (Giovanni di Fècamp).
Diamo un quadro riassuntivo della contemplazione attraverso le pennellate di Giovanni di Fècamp: "Molti sono i generi di contemplazione mediante i quali, o Cristo, l’anima che si è votata a Te trova la sua gioia e il suo progresso. Tuttavia in nessuno di essi il mio spirito gode come in quello che, allontanando ogni cosa, alza verso di Te, solo Dio, lo sguardo semplice di un cuore puro. Oh che pace, che riposo e che gioia gode allora l’anima tesa verso di Te! Mentre il mio spirito anela alla visione divina e, secondo le sue possibilità, medita e proclama la tua gloria, il fardello stesso della carne si fa meno opprimente, il tumulto dei pensieri si placa, il peso della nostra condizione mortale e delle nostre miserie non rende più ottuse come al solito le nostre facoltà. Tutto tace, tutto è calmo, il cuore arde d’amore... L’anima è riboccante di gioia, la memoria di forza, l’intelligenza di luce. E lo spirito intero, infiammato dal desiderio di vedere la tua bellezza, si vede rapito nell’amore delle realtà invisibili.
Giunti a questo punto non c’è altra tappa da superare: siamo alle soglie della visione. Siamo all’ultima tappa di questo itinerario che parte dalla "lettura" e giunge a questa stupenda intimità con Dio, al di là della quale c’è solo quella contemplazione senza veli, oltre le parole e i simboli, che riempirà il giorno eterno.
Conclusione
Nel concludere vorremmo cedere ancora una volta la parola a s. Gregorio Magno, che in queste pagine ha avuto il ruolo di protagonista. C’è nel suo epistolario una lettera, diretta a Teodoro, medico dell’imperatore, che è un gioiello e merita di essere riletta oggi: non come un documento del secolo VI, ma come un messaggio che il grande papa fa giungere a ciascuno di noi, in questo momento ricco e travagliato della storia della Chiesa, non senza analogie con quello in cui egli è vissuto. Eccone la parte centrale: "Poiché chi più ama più osa, ho un rimprovero da fare al mio illustrissimo figlio Teodoro. Egli infatti ha ricevuto dalla SS. Trinità il dono dell’ingegno, del benessere, della misericordia e della carità ma si fa soffocare senza posa dalle questioni profane, dai continui andirivieni e trascura così di leggere ogni giorno le parole del suo Redentore. Cos’è la Scrittura se non una lettera di Dio onnipotente alla sua creatura? Se Vostra Eccellenza risiedesse altrove e ricevesse posta dal monarca terreno non si darebbe pace, non riposerebbe, non chiuderebbe occhio se non avesse preso conoscenza del contenuto di quella lettera. Il Re del cielo, il Signore degli uomini e degli angeli, ti ha scritto una lettera perché tu viva e tuttavia, illustre figlio, trascuri di leggerla con ardente amore. Cerca dunque, ti prego, di meditare ogni giorno le parole del tuo Creatore. Impara a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio. Così tu bramerai le realtà celesti con maggior desiderio e il tuo animo sarà preso con più ardore dalle gioie invisibili... Che lo Spirito riempia della sua presenza la tua anima e riempiendola la renda più libera" (Epist. IV, 31).
Ognuno di noi è interpellato personalmente da questo richiamo.
"Ascoltate oggi la sua voce: Non indurite il cuore" (Sal 95, 8).
"Sta scritto: non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4, 4).
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